Riforma Gelmini: pro e contro di una legge che ha ridefinito l’università italiana
La Legge 240 del 30 dicembre 2010, nota ai più semplicemente come riforma Gelmini (dal nome dell’allora Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini), rappresenta un punto di svolta cruciale per il sistema universitario e della ricerca in Italia. Varata con l’obiettivo dichiarato di aumentare la qualità, l’efficienza e l’autonomia degli atenei, la riforma Gelmini ha introdotto cambiamenti strutturali che, a distanza di anni, continuano a generare dibattito e a mostrare ripercussioni complesse sull’intero mondo accademico. Le sue disposizioni hanno toccato la governance, il reclutamento del personale, lo stato giuridico dei docenti e i meccanismi di finanziamento, spingendo l’università verso un modello più competitivo e orientato al merito.
La spinta verso la “quasi-azienda”: governance e valutazione
Uno degli aspetti più evidenti della riforma Gelmini è stato il tentativo di trasformare l’università da un corpo autoreferenziale a un’istituzione gestita secondo logiche più aziendali (o di “quasi-mercato”).
Punti Chiave e Implicazioni:
- Rinnovo della Governance: La legge ha mirato a snellire e modernizzare gli organi di governo degli atenei, distinguendo nettamente le funzioni tra il Senato Accademico (dedicato a didattica e ricerca) e il Consiglio di Amministrazione (gestione finanziaria e strategica). Quest’ultimo è stato rafforzato con l’inclusione di una maggioranza di membri esterni, con l’intento di portare competenze manageriali e garantire maggiore trasparenza e contatto con il mondo esterno.
- Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR): La riforma Gelmini ha potenziato il ruolo dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), istituendo procedure sistematiche di valutazione della ricerca e della didattica. Il finanziamento ordinario degli atenei è stato progressivamente legato ai risultati di queste valutazioni (il performance-based funding), incentivando la concorrenza e il miglioramento degli standard qualitativi.
Pro e Contro di queste misure:
Se da un lato la maggiore autonomia e l’introduzione di criteri di valutazione oggettivi sono viste come un passo avanti per combattere il clientelismo e premiare il merito, dall’altro, la logica “aziendalista” è stata criticata. Alcuni sostengono che la riforma Gelmini abbia distorto la ricerca scientifica, spingendo i docenti a focalizzarsi su risultati misurabili a breve termine, sacrificando la ricerca fondamentale e umanistica, meno facilmente quantificabile dalla VQR.
Il reclutamento e la precarizzazione della ricerca
Un altro pilastro fondamentale della riforma Gelmini riguarda la profonda revisione del sistema di reclutamento del personale accademico, con l’obiettivo di rendere più trasparente l’accesso ai ruoli di docenza e di favorire la mobilità.
Nuovi Modelli di Carriera:
- Abolizione del Ricercatore a Tempo Indeterminato: La figura storica del ricercatore è stata sostituita da quella del Ricercatore a Tempo Determinato (RTD), articolata in due tipologie: RTD-A (di durata triennale, rinnovabile una sola volta) e RTD-B (di durata triennale, con possibilità di tenure track – ovvero di chiamata diretta a professore associato – previa valutazione positiva).
- Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN): È stata introdotta l’ASN, una procedura nazionale centralizzata per l’ottenimento dell’idoneità a ricoprire il ruolo di professore associato o ordinario. Questo meccanismo, che prevede il superamento di parametri quantitativi definiti da ANVUR e la successiva valutazione dei titoli da parte di commissioni nazionali, mirava a spezzare il localismo e il potere dei “baroni universitari”.
Conseguenze sul Personale:
L’introduzione dei contratti RTD ha innescato una forte precarizzazione della fase iniziale della carriera accademica. Sebbene la riforma Gelmini volesse dare stabilità ai giovani ricercatori meritevoli attraverso l’RTD-B, l’attuazione si è scontrata con il blocco del turn over e la carenza cronica di fondi. Di fatto, molti ricercatori sono rimasti intrappolati in contratti a termine. La riforma Gelmini, inoltre, ha spesso visto l’ASN criticata per la sua eccessiva rigidità quantitativa, che non sempre ha premiato la qualità intrinseca della ricerca.
Le criticità di fondo e la mancanza di risorse
La grande critica mossa alla riforma Gelmini non riguarda tanto i principi ispiratori (merito, valutazione, autonomia) quanto il contesto finanziario in cui è stata applicata. L’attuazione della riforma Gelmini è avvenuta in un periodo di drastico taglio dei fondi al sistema universitario e alla ricerca pubblica, limitando di fatto l’efficacia delle misure premiali e dei nuovi meccanismi di reclutamento. Molti osservatori ritengono che le università siano state chiamate a riformarsi e a competere, senza però ricevere le risorse necessarie per farlo.
In sintesi, la legge Gelmini ha modernizzato il quadro normativo dell’università, ma ha introdotto un modello “a costo zero” che ha esasperato le disparità tra atenei e ha reso più difficile la carriera per le nuove generazioni di ricercatori. La sfida per il futuro è conciliare i principi di merito e valutazione introdotti dalla riforma Gelmini con un adeguato e stabile finanziamento del settore.
Per una comprensione più approfondita delle modifiche apportate e del loro impatto a dieci anni di distanza, puoi guardare questo video: Insegnare e imparare all’università 10 anni dopo la “riforma Gelmini”. Il video offre una prospettiva sulle conseguenze della legge 240/2010 sull’organizzazione e sulla didattica universitaria.
