Eluana Englaro: la battaglia per il diritto a morire e il trauma della Repubblica

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Luglio 23, 2011

Il diritto a morire e la battaglia legale: il caso Eluana Englaro

Il caso di Eluana Englaro è uno degli snodi etici, legali e politici più dibattuti e sofferti nella storia recente della Repubblica Italiana. La sua vicenda, iniziata con un tragico incidente stradale nel 1992 e conclusasi solo diciassette anni dopo, ha posto il Paese di fronte a interrogativi fondamentali sul diritto all’autodeterminazione, il valore della vita e il confine tra accanimento terapeutico e dovere di cura.

 

La tragedia e lo stato vegetativo

Il 18 gennaio 1992, Eluana Englaro, allora ventunenne, fu vittima di un grave incidente stradale lungo la strada che conduceva a Lecco. L’evento le causò un grave trauma cranico che la portò in uno stato vegetativo persistente e irreversibile. Per anni, la giovane fu accudita in una clinica di Lecco, assistita da personale medico e supportata da nutrizione e idratazione artificiale.

Lo stato vegetativo persistente, secondo la medicina, è una condizione di veglia senza coscienza di sé o dell’ambiente circostante. La battaglia per la sospensione dei trattamenti ebbe inizio per iniziativa del padre, Beppino Englaro, che sostenne con determinazione la volontà della figlia. Eluana Englaro, prima dell’incidente, aveva espresso in varie occasioni la sua contrarietà a una vita mantenuta artificialmente in condizioni di totale dipendenza, un aspetto che divenne cruciale nelle aule di giustizia.

 

La battaglia nelle aule di giustizia

La vicenda giudiziaria di Eluana Englaro è stata lunga e tortuosa, trasformandosi in una complessa battaglia legale che ha toccato tutti i livelli della magistratura italiana, fino alla Corte di Cassazione. Il padre, in qualità di tutore legale, chiese per la prima volta nel 1999 l’autorizzazione a interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, sostenendo che tali pratiche costituissero un accanimento terapeutico non voluto dalla paziente.

La Corte d’Appello di Milano inizialmente negò la richiesta, ma il caso fu riaperto e, in una sentenza storica del 2007, la Corte di Cassazione riconobbe il diritto del tutore a richiedere l’interruzione dei trattamenti. La Cassazione stabilì due condizioni fondamentali: primo, lo stato vegetativo deve essere irreversibile e accertato con rigore scientifico; secondo, deve essere provata la volontà pregressa della paziente di non voler essere mantenuta in vita in tali condizioni. Entrambi i punti vennero riconosciuti validi nel caso di Eluana Englaro da un nuovo giudizio della Corte d’Appello nel 2008.

 

Lo scontro politico e istituzionale

La decisione della Cassazione del 2007 innescò un acceso scontro politico e istituzionale senza precedenti. Il dibattito uscì dai confini delle aule giudiziarie per irrompere nella sfera pubblica, dividendo l’opinione pubblica, il mondo politico e le istituzioni religiose.

Il Governo in carica all’epoca, pur riconoscendo la sentenza, cercò in ogni modo di impedirne l’attuazione. Il Presidente del Consiglio tentò di emanare un decreto legge d’urgenza per imporre la continuazione dell’alimentazione e idratazione artificiale, qualificandole come misure di “sostegno vitale essenziale” e non come trattamenti medici interrompibili. L’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si oppose con fermezza, rifiutando di firmare il decreto legge poiché lo riteneva inammissibile e contrario ai principi costituzionali che sanciscono la separazione tra potere legislativo e giudiziario e la libertà di cura.

Questo scontro ha messo in luce la fragilità dei confini tra i poteri dello Stato di fronte a questioni eticamente sensibili, evidenziando la tensione tra la volontà del legislatore di intervenire e il ruolo di garanzia del Capo dello Stato.

 

L’epilogo e l’eredità

Nel febbraio 2009, dopo anni di battaglie e ricerca di una struttura disposta ad accogliere la paziente per l’interruzione dei trattamenti, Eluana Englaro fu trasferita in una clinica a Udine. Il processo di sospensione dell’alimentazione e idratazione fu avviato secondo il protocollo medico stabilito, e la giovane è deceduta pochi giorni dopo, il 9 febbraio 2009.

La morte di Eluana Englaro non ha chiuso il dibattito, ma ha cristallizzato la necessità di una legislazione chiara in materia di testamento biologico e fine vita. La sua vicenda ha accelerato la discussione sulla possibilità per ogni cittadino di esprimere Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), per evitare che la propria volontà sia oggetto di controversie legali in caso di incapacità di intendere e di volere.

Solo anni dopo, nel 2017, l’Italia ha approvato la legge sul consenso informato e sulle DAT, una normativa che, sebbene arrivata tardivamente, ha colmato un vuoto normativo clamoroso. Il sacrificio di Eluana Englaro e la tenacia di suo padre hanno rappresentato, in ultima analisi, il catalizzatore di un necessario progresso civile e normativo in Italia. La sua storia rimane un monito sulla centralità della dignità umana e del diritto all’autodeterminazione.