Il futuro incerto: la precarietà delle pensioni in Italia e il nodo del sistema contributivo
La questione della precarietà delle pensioni in Italia è uno dei nodi strutturali più complessi e delicati che il Paese deve affrontare. Non si tratta solo di una sfida economica, ma di una vera e propria emergenza sociale che getta un’ombra sull’anzianità delle future generazioni di lavoratori. Il problema è profondamente legato alle riforme previdenziali degli ultimi trent’anni, al progressivo invecchiamento demografico e, soprattutto, alla crescente frammentazione e precarizzazione del mercato del lavoro.
La transizione dal retributivo al contributivo
Il passaggio dal metodo di calcolo retributivo (basato sull’ultima retribuzione o sulla media degli ultimi anni di lavoro) al metodo contributivo (basato sui contributi effettivamente versati durante l’intera carriera) è il fattore determinante. Introdotto con la Riforma Dini del 1995 e consolidato dalle successive modifiche, il sistema contributivo garantisce maggiore equità e sostenibilità finanziaria a lungo termine per le pensioni, ma espone direttamente il futuro pensionato alle fluttuazioni e alle debolezze della sua carriera lavorativa.
Per chi ha avuto una carriera lineare e ben retribuita, il passaggio ha un impatto gestibile. Per chi, invece, ha iniziato a lavorare dopo il 1996 e ha avuto una carriera discontinua, caratterizzata da periodi di disoccupazione, part-time involontari, o contratti precari, la prospettiva è allarmante. La somma finale dei contributi versati, necessaria per calcolare l’assegno di pensione, sarà inevitabilmente inferiore, portando a pensioni di importo ridotto, spesso al limite della sussistenza.
L’impatto della precarietà lavorativa
Il mercato del lavoro italiano è stato segnato, soprattutto per i giovani, da un incremento della flessibilità e della precarietà. Contratti a tempo determinato, collaborazioni occasionali e voucher hanno frammentato le carriere professionali. Ogni interruzione o periodo di retribuzione bassa si traduce direttamente in una lacuna contributiva.
Il problema si acuisce per i lavoratori autonomi, i professionisti e le Partite IVA con redditi fluttuanti, che spesso versano contributi minimi. Poiché il sistema contributivo lega in modo indissolubile il reddito da lavoro al futuro assegno di pensione, la precarietà lavorativa si traduce direttamente in precarietà previdenziale. È la generazione dei millennials e delle successive a trovarsi oggi in questa morsa, con l’incertezza sulla possibilità di raggiungere una pensione dignitosa.
Il nodo demografico e la sostenibilità delle pensioni
Oltre alla natura del calcolo, la precarietà delle pensioni è aggravata dal fattore demografico. L’Italia è uno dei Paesi più vecchi del mondo, con un rapporto sempre più sbilanciato tra lavoratori attivi (che versano i contributi) e pensionati (che li ricevono). Il sistema previdenziale italiano è basato sul principio della ripartizione, dove i contributi versati oggi dai lavoratori servono a pagare le pensioni attuali.
Il calo delle nascite e l’aumento dell’aspettativa di vita costringono i governi ad adottare misure impopolari per garantire la sostenibilità finanziaria. Queste misure si traducono principalmente nell’innalzamento continuo dell’età pensionabile e in un’ulteriore revisione dei requisiti di accesso alle pensioni. La rigidità del sistema è spesso criticata per non tenere sufficientemente conto della diversità dei lavori, specialmente quelli usuranti, alimentando il malcontento sociale e la richiesta di flessibilità.
Le possibili contromisure: la previdenza complementare
Per mitigare l’impatto di carriere discontinue e di pensioni calcolate col metodo contributivo, l’unica vera contromisura strutturale è lo sviluppo della previdenza complementare (o integrativa). Si tratta di strumenti volontari, come fondi pensione aperti o chiusi, che affiancano la pensione pubblica obbligatoria.
Tuttavia, anche qui emergono problemi sociali: la bassa adesione è spesso dovuta alla scarsa educazione finanziaria, ma soprattutto all’impossibilità economica. Un lavoratore precario con un reddito basso e fluttuante ha meno capacità di destinare risorse a un piano pensionistico privato. La disparità sociale si riproduce, quindi, anche nell’ambito della previdenza integrativa, ampliando il divario tra chi avrà una o due pensioni e chi si affiderà esclusivamente a un assegno pubblico insufficiente.
La sfida per la politica è duplice: da un lato, stabilizzare il mercato del lavoro per garantire carriere più lineari e contributi più consistenti; dall’altro, promuovere politiche che incentivino in modo massiccio l’adesione alla previdenza complementare, soprattutto tra le fasce più giovani e precarie, affinché la precarietà delle pensioni diventi un rischio gestibile e non una certezza di povertà in età avanzata.
